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Ospita la scuola primaria "Don Milani"

Descrizione

Chi era Don Lorenzo Milani
Questa ricerca è stata fatta dai bambini della classe quinta A della scuola Don Milani nell’anno scolastico 2004-2005
La vita
Lorenzo nasce in epoca fascista il 27 maggio del 1923. Nonno Luigi era un notissimo archeologo, la madre era una raffinata signora ebrea, il padre un professore universitario.
D’estate, la famiglia Milani trascorreva le vacanze alla villa “Il Ginepro”, al mare di Castiglioncello. Essendo una tribù numerosissima, si trascinavano dietro una fila di automobili e di aiutanti: cuoco, cameriera, servitore, autista, balia e istitutrice.
Nel 1930, i Milani attraversarono un periodo difficile. La grande crisi economica impediva di vivere di sola rendita e il sig. Milani è costretto ad andare a lavorare a Milano, come direttore di azienda, occupandosi della organizzazione industriale.
Nella città lombarda lo seguiranno la moglie e i figli che lì completeranno gli studi. A Milano, Lorenzo, trascorrerà tutta la sua infanzia e l’adolescenza.
I coniugi Milani, nonostante avessero verso le religioni un comportamento agnostico, il 29 giugno 1933, sposati solo civilmente, celebreranno il matrimonio in chiesa e battezzeranno i tre figli. In questo modo si difenderanno dalle leggi razziali e dalla persecuzione contro gli ebrei che era iniziata in Germania, con la presa del potere da parte di Hitler.
La giornata che Lorenzo racconta nelle sue lettere, datate in quel periodo, era piena di svaghi. Andava al campo, a tirar di scherma e di palla corda oppure tornava da scuola pattinando.
Solo per tradizione, nel 1937, Lorenzo si iscrive alla prima ginnasio. Lo stesso anno, durante le vacanze, chiede, tra lo stupore della famiglia, di ricevere la prima comunione.
Lorenzo pittore
Il 21 maggio 1941, a causa della guerra le scuole chiudono, Lorenzo viene dichiarato maturo. In quel momento, esprime il desiderio di cimentarsi nella pittura. Vive per un anno intero a Firenze e frequenta assiduamente il pittore H.J. Staude.
Era un ragazzo dalla bella figura slanciata, simpatico, cortese. Aveva l’aria tipica del giovane di famiglia benestante quando un giorno a Firenze, mentre faceva merenda in un vicolo, seduto accanto al suo cavalletto, fu fortemente scosso dalla frase di una donna: “Non si mangia il pane bianco nelle strade dei poveri!”. Lorenzo Milani, un ragazzo ebreo che mangiava il pane bianco dei ricchi, aveva presto capito quanto fosse fortunato, e sentiva il peso della guerra, della fame e della violenza delle discriminazioni razziali.
Con la pittura, inizia la stravagante vita d’artista “bohemien”. In questo periodo è fortemente influenzato dal “bello e funzionale” di Le Corbusier e dal “lavoro collettivo” nell’architettura di Michelucci. Si accende d’interesse per la pittura religiosa. È proprio attraverso una ricerca sui colori usati nella liturgia cattolica che Lorenzo si avvicina in qualche modo alla Chiesa.
Nel settembre del 1942 s’iscrive all’Accademia di Belle Arti a Brera. La famiglia, pur non condividendo l’idea, lo aiuta ad aprire uno studio in quella città, ma nel novembre dello stesso anno si trasferisce nuovamente a Firenze.
Lorenzi si rende conto che la pittura, arte solitaria, era insufficiente al suo bisogno di comunicare; nacque, così, un senso di vuoto, d’insoddisfazione e poi, non si sa come, si ritrovò in mano un libro sulla liturgia cattolica. Lorenzo se ne entusiasmò, ma tutti pensarono che fosse un entusiasmo passeggero. Invece era accaduto, o stava per accadere in lui qualcosa di assolutamente diverso. Di lì a pochi mesi entrò in seminario. La famiglia non approva la scelta di vita religiosa del figlio. Alla cerimonia della tonsura, l’atto d’ingresso alla vita ecclesiastica, nessuno dei parenti sarà presente.
Barbiana
Nel dicembre del 1954 Don Milani viene nominato priore della chiesa di S. Andrea a Barbiana, una piccolissima parrocchia sul monte Giovi, nel territorio del comune di Vicchio del Mugello. La chiesa del ‘300 e la canonica, situate a 475 metri di altitudine sopra il vasto paesaggio della valle della Sieve, erano, e lo sono ancora, circondate da poche case e dal minuscolo cimitero. Era una località
irraggiungibile da automezzi perché non vi era ancora la strada ed era abitata solo da cento contadini che resistevano all’esodo verso la città.
Per la curia fiorentina, isolare don Lorenzo Milani era la giusta punizione da dare a un sacerdote che non amava le processioni, le feste, che privilegiava i più poveri e più umili e che aveva creato una scuola dove erano ammessi gli operai comunisti. Un uomo che vede nel consumismo, e nelle sue attrattive alienanti, la causa dell’allontanamento del povero dalla Chiesa e dai valori cristiani.
Il giorno dopo il suo arrivo a barbiana, aveva raggruppato i ragazzi delle famiglie attorno a sé e in una scuola; li liberò subito dalla passività e li rese responsabili. In questa scelta si fonderanno la pedagogia e la pastorale, il prete e la scuola.
Per pochi ragazzi, semianalfabeti, figli di pecorai e contadini oppure orfani, apre una scuola che inizia alle 8.00 del mattino e termina quando inizia a fare buio. Una scuola che non conosce vacanze e che rifiuta le metodologie e le tecniche d’insegnamento nozionistico e trasmissivo.
Il suo libro: “Lettera a una professoressa ” è il risultato di un anno di attività a Barbiana. Questo testo, che ha per autore la scuola di Barbiana, è una critica, minuziosamente condotta, alla scuola elitaria che boccia i figli dei poveri e promuove quelli dei ricchi, una scuola accusata di “far parti eguali tra diseguali”.
“Voi dite d’aver bocciato i cretini e gli svogliati. Allora sostenete che Dio fa nascere i cretini e gli svogliati nelle case dei poveri. Ma Dio non fa questi dispetti ai poveri. È più facile che i dispettosi siate voi”.
La scuola, secondo don Milani , è un ospedale che cura i sani e respinge i malati e crea differenze a volte irrimediabili. Il maestro Milani trasforma il giornale in materia scolastica. Trasforma, in ricerca e produzione di materiale didattico, il lavoro di gruppo, da lui diretto, svolto con i ragazzi, gli abitanti e i numerosi visitatori. Una grande rivoluzione culturale, didattica e pedagogica che rifiuta l’indifferenza, la passività negativa e motiva fortemente l’allievo.
L’esperienza di Barbiana, non è ripetibile, infatti più che una scuola, lui aveva creato una comunità, una famiglia. Tutti i suoi scritti, nel periodo in cui abitò a Barbiana, nacquero per motivi pedagogici. Nel dicembre del 1960 si manifestano i sintomi del linfogranuloma e della leucemia.
Muore in casa della madre il 24 giugno 1967 all’età di 44 anni.

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